UNA VISIONE LUCIDA


Ella Baffoni e Peter Kammerer ricordano Aldo Natoli, un comunista senza partito

© Centro Studi Aldi Natoli

Aldo Natoli (Messina 1913 – Roma 2010): „Essere comunisti è possibile.“

Roma – Aldo Natoli nacque a Messina il 20 settembre 1913. Laureatosi in medicina e chirurgia, fu inviato dall’Istituto italiano del cancro (presso l’ospedale regina Elena di Roma) all’Institut du cancer di Parigi nel 1939; fece da collegamento tra la centrale francese del PCI e l’interno, anche grazie al fratello maggiore Glauco Natoli, che in quello stesso periodo era incaricato di letteratura italiana presso l’Università di Strasburgo. Al rientro in Italia fu arrestato per attività clandestina insieme ad un gruppo di militanti di Avezzano (tra cui Bruno Corbi e Giulio Spallone) e condannato a cinque anni di carcere dal tribunale speciale per la difesa dello Stato. Dopo tre anni di reclusione a Civitavecchia, nel dicembre del 1942 fu scarcerato grazie al provvedimento di amnistia e indulto del 17 ottobre 1942 e partì militare. Dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte dell’organizzazione militare del Comitato di Liberazione Nazionale, fondando con Mario Alicata la redazione clandestina de L’Unità.

Dopo la guerra fu segretario del PCI a Roma e nel Lazio. Consigliere comunale di Roma dal 1952 al 1966, fu a lungo capogruppo del PCI in Campidoglio. In tale veste condusse una battaglia durissima contro la politica urbanistica delle amministrazioni comunali a guida democristiana, in particolare quella di Urbano Cioccetti (1957-1960). Nell’ottobre del 1969, in dissenso con la direzione del PCI sulla condanna dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia, fu radiato dal partito con Rossana Rossanda, Luigi Pintor e tutto il gruppo del quotidiano „il manifesto“ da loro costituito. Alla Camera dal 1969 fece parte del gruppo misto. Distaccatosi da tale gruppo, si è dedicato ad attività storiografica. I suoi lavori più importanti sono quelli dedicati alla vita e all’opera di Antonio Gramsci Morì a Roma l’ 8 novembre 2010.

Perché ricordare Aldo Natoli?

Perché ricordare Aldo Natoli? Non è solo il rammarico di chi ha conosciuto la sua limpidezza e il suo rigore, le sue analisi lucide e la sua cultura. È una necessità. Quando Natoli si è occupato di Roma, dal vertice della Federazione romana del Pci e dagli scranni del Campidoglio, ha fatto una cosa nuova. Ha studiato, analizzato, chiamato un gruppo di lavoro interdisciplinare di alto profilo. Ha fatto un’analisi di classe del regime dei suoli, identificando il campo largo in cui agiva la lotta di classe: la rendita e le sue metastasi incarnite nei gangli dei poteri romani, la rivolta delle classi subalterne, moltissimi gli edili, che cercavano di togliersi di dosso il peso dello sfruttamento. In sintesi, questo è il senso del famoso intervento in consiglio comunale, raccolto poi nel volume “Il sacco di Roma”.

Non solo. Ha reso chiara quell’analisi e la pratica conseguente a molti: un peccato non sia stato capito all’interno del suo partito, il Pci, che pure del riscatto dei lavoratori aveva fatto una bandiera. Un peccato che a portare avanti quel metodo – senza però la passione e la partecipazione alle vicende dei lavoratori e delle classi subalterne – siano stati invece gli intellettuali più accorti dell’urbanistica e della sociologia.
Per primo Aldo Natoli ha visto, in assoluta controtendenza, il declino delle speranze e della possibilità di avanzamento sociale, il ripiegamento delle bandiere progressiste. È un pessimista, lo bollavano. E invece aveva una visione lucida e senza sconti della realtà.

Era convinto già nel 1969 che “la crisi e il processo di costruzione di un’alternativa di sinistra avessero tempi lunghi”. E alla fine degli anni settanta vedeva con chiarezza che non solo in Italia un’epoca stava per finire e che cento anni di movimento operaio si stavano chiudendo in una grande incertezza. Perciò la domanda: cosa fare per riaprire il cammino dell’emancipazione comunista? E per aprire la strada a un nuovo discorso, ricostruire un nuovo sentimento comunista, riflettere su che cosa significhi creare nuovi rapporti fra gli uomini? Senza rinnegare il passato, ma anche senza farsi condizionare dalle sue forme di pensiero e dalle sue parole d’ordine.

Tutto va ridiscusso e inventato, perfino il comunismo

Certo quella peculiare forma partito nata dalla Resistenza è finita. Quale sarà dunque il nuovo partito, il nuovo militante, il modo di associarsi, il nuovo terreno dei conflitti, la nuova classe? Tutto va ridiscusso e inventato, perfino il comunismo.

Per questo, allora, Natoli studia. Vuole capire le ragioni della sconfitta del comunismo, di un’intera epoca. Ma anche come andare avanti. I suoi lavori sono sparsi, spesso occasionali, ma incessanti. Si pone sempre il problema della transizione verso un mondo nel quale gli uomini instaurino rapporti giusti e umani tra di loro e con il pianeta.

Chi vorrà riprendere le fila di una teoria e di una pratica dell’emancipazione avrà la fortuna di incontrare su questa strada il suo pensiero e la sua figura.

Una testimonianza di Sandro Portelli: »Una volta fuori dal Pci, mi raccontò Aldo, incontrò un compagno tranviere che gli chiese: “E ora, Aldo, che fai?”. Lui rispose: “Sono un comunista senza partito.«

Aldo Natoli. Un comunista senza partito. Di Ella Baffoni e Peter Kammerer. Con interventi di Maria Luisa Boccia, Enzo Collotti, Celeste Ingrao con Marco Giorgini, Loredana Mozzilli, Sandro Portelli, Stefano Prosperi, Mimmo Quaratino, Rossana Rossanda e Walter Tocci. Edizioni dell’asino, Roma 2019. 270 pagg., 14 Euro.

Il sito del Centro Studi di Aldo Natoli raccoglie una gran parte degli scritti di Aldo Natoli

Zur Person von Peter Kammerer siehe hier . Ella Baffoni, giornalista, ha lavorato a lungo per il manifesto e per l’Unità. Da qualche anno in pensione. Ha un blog e partecipa a strisciarossa.it